lunedì 12 luglio 2010

Grazie: una solidarietà salda come la roccia

È ormai trascorsa quasi una settimana dall'inconsulto atto che ha determinato qualcuno a farmi recapitare due pallottole ed una esplicita promessa di morte per impormi di smettere di fare ciò che ho sempre fatto nella mia vita di docente universitario e funzionario di uno Stato in cui ho sempre creduto: semplicemente il mio dovere.
La cosa che mi ha davvero sorpreso, dandomi una grande fiducia per il futuro, è l'ampiezza e la qualità della solidarietà che ho ricevuto in questi giorni. Non solo il Senato Accademico dell'Ateneo messinese e il Consiglio di Facoltà di Scienze della Formazione, ma moltissimi rappresentanti di tante altre università italiane, degli enti locali, di prestigiose istituzioni della società civile laica e religiosa (il Comune, l'Assessorato regionale, la Confindustria, tantissimi Presidi, etc.) hanno voluto ricordarmi non solo la loro operosa presenza ma la stessa identificazione tra me e loro, tra il singolo e la collettività. Potrei naturalmente sbagliarmi, ma non mi è parsa la solita struttura assente di una coscienza puramente retorica. Mi è sembrata, invece, una solidarietà forte come la roccia, un'unica pietra che può forse conoscere scheggiature ma non frammentazioni. Accanto alle istituzioni anche un gran numero di colleghi, studenti, genitori, amici, persino di persone estranee, che da ogni parte d'Italia avevano saputo della grave intimidazione – grazie anche all'eccezionale lavoro informativo della stampa e degli altri media – hanno voluto farmi sentire la loro vicinanza, la loro parola di conforto e di rifiuto assoluto della logica della violenza e della paura.
Dire a tutti che li ringrazio è poco, troppo poco.
L'idea di un episodio che forse in altri tempi sarebbe passato doppiamente nascosto – da parte di chi lo ha ricevuto direttamente e da parte di chi si è sentito indirettamente colpito – e che stavolta ha fatto in un attimo il giro d'Italia, mi fa pensare che i tempi pur duri che stiamo vivendo sono molto cambiati rispetto a quelli di tanti anni fa: non c'è più spazio per le paure in una casa che non è ancora di vetro ma non è più completamente opaca come una volta. Una casa che comincia con difficoltà, ma senza ripensamenti, a diventare trasparente e, quindi, tornare invisibile ai colpi della violenza e dell'omertà che le dà corpo.
Non posso non dirlo: mi sono sentito protetto in questa casa. Possiamo (e dobbiamo) anche lamentarci e criticarla, ma questa casa è anche quella della professionalità degli inquirenti che hanno cominciato subito e con determinazione le indagini; del senso di responsabilità e di coscienza civile che emergeva da ogni presa di posizione che sentivo per bocca del personale docente e non docente; del reale senso di partecipazione di tutta la comunità degli studenti agli interessi del nostro pubblico bene. Grazie a tutto ciò ho realizzato per un attimo ciò che ho sempre sperato: vivere in un paese normale in cui c'è un'evidenza naturale argomentata di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato, di ciò che dobbiamo accettare e di ciò che dobbiamo ad ogni costo rifiutare. Che sia un "dente di non ritorno" anche per l'ingranaggio della nostra vita universitaria e cittadina?